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11 Aprile 2019

Mio figlio non studia, non vuole fare i compiti, non vuole andare a scuola

La frase: “E’ intelligente ma non si applica” è una delle più ricorrenti negli scambi tra genitori e insegnanti durante i colloqui.

Sempre più genitori hanno difficoltà nel motivare i figli a studiare e a fare i compiti, e a volte tale problematica si estende sino al rifiuto dei figli di andare a scuola.

Le motivazioni possono essere diverse, e la “poca voglia” è una giustificazione “chiusa”, ovvero che non ci fornisce informazioni utili al fine di superare le problematiche emerse.

Ecco cosa contiene il seguente articolo:

  1. “VOGLIA DI STUDIARE”: DA COSA DIPENDE E COME FARE?
  2. IL “MAL DI SCUOLA”
  3. TROVARE UNO SPAZIO DI PAROLA

1. “VOGLIA DI STUDIARE”: DA COSA DIPENDE E COME FARE?

Molti psicologi hanno indagato il legame tra motivazione ed apprendimento. Alcune ricerche hanno dimostrato come le persone abbiano la tendenza ad elevare le mete dopo i successi e ad abbassarle dopo gli insuccessi.

A volte ciò che motiva maggiormente all’azione è il desiderio ad evitare l’insuccesso più che quello di raggiungere il successo: possono così innescarsi meccanismi di auto-sabotaggio per cui, per esempio, non si studia se non all’ultimo minuto per una verifica, oppure non ci si prepara affatto, tentando la fortuna. In questo modo, oltretutto, si rafforzerebbe quello che viene definito locus-of-control esterno: “Non è a causa delle mie capacità che ho preso un brutto voto, è che ho avuto poco tempo!”.

Altri studi evidenziano anche come la motivazione nei confronti della prestazione dipenda dalla percezione che la persona ha della difficoltà del compito e dalle risorse che ritiene di poter mettere in campo.

Anche le emozioni giocherebbero un ruolo cruciale nell’apprendimento: la forza dei ricordi dipende dal grado di attivazione emozionale elicitato nel momento dell’apprendimento. A tal proposito altri studiosi hanno evidenziato come uno degli apprendimenti maggiormente efficaci sia quello osservativo, legato ad una figura di riferimento importante, che abbia un certo peso relazionale ed emotivo nella vita della persona.

Aiutare i propri figli nell’intraprendere imprese realizzabili e raggiungibili, valorizzare i successi, supportare gli insuccessi, associare l’apprendimento ai loro interessi e alle loro passioni, ed essere d’esempio di ciò, attraverso il proprio comportamento osservabile ed i propri atteggiamenti, sono tutte modalità che aiutano a motivare i propri figli nello studio.

2. IL “MAL DI SCUOLA”

Quando emerge un rifiuto costante nel tempo di andare a scuola, è necessario innanzitutto fare un’operazione di contestualizzazione legata alla situazione non solo didattica, ma anche a quella relazionale, sociale, familiare.

Occorre valutare se il rifiuto avviene all’inizio dell’anno scolastico, a seguito di un cambiamento avvenuto in famiglia, nel gruppo classe, nelle amicizie o, nel caso di ragazzi più grandi, nelle relazioni amorose.

È importante non essere assillanti, ma assumere un atteggiamento aperto al dialogo, che rispetti i tempi dei propri figli, anche se questo inizialmente può non essere semplice.

Il dialogo aperto con i propri figli e con la scuola è uno strumento importante, che può aiutare i genitori ad individuare anche situazioni critiche, potenzialmente legate a fenomeni di bullismo in atto (per approfondire clicca l’articolo:”Mio figlio è vittima di bullismo?”), oppure ad un “blocco” connesso a questioni relative alla propria posizione rispetto al desiderio personale, o alla propria identità ( per es. nascita di un fratello/sorella, fine/nascita di una relazione, separazione dei genitori, malattia di una persona vicina).

Il “mal di scuola” spesso è “mal di altro”, un altro che può legarsi ad uno stato di angoscia, e al tentativo di sfuggirvi, evitandolo.

3. TROVARE UNO SPAZIO DI PAROLA

L’angoscia è un affetto, è qualcosa che sentiamo nel nostro essere, e che si esprime in vari modi attraverso per esempio la preoccupazione, l’evitamento, la rimuginazione, l’ansia, ma anche nel corpo, tramite le palpitazioni, problemi gastro-intestinali eccetera.  È qualcosa di spiacevole, da cui solitamente cerchiamo di sfuggire, evitando ciò che la fa risuonare.

Per affrontare i problemi, gli “inciampi” che tale evitamento a volte porta è importante avere uno spazio di parola, al fine di coglierne il significato soggettivo e la logica di senso sottostante.

 

Bibliografia:
Bandura A., Adolescenti e autoefficacia. Il ruolo delle credenze personali nello sviluppo individuale, Erickson Edizioni, Milano 2012.
Girelli C., Costruire il gruppo. La dimensione socio affettiva nell’esperienza scolastica, Editrice La Scuola, Brescia 1999.

LeDoux J., Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, trad. it., Baldini Castaldi Dalai, Milano 2003, (orig. 1998).
McClelland, D.C., Atkinson, J.W., Clark, R.A., and Lowell, E.L. (1953). The Achievement Motive. NY: Appleton-Century-Crofts

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